E il naufragar m'è dolce in questo mare ...

martedì 3 luglio 2012

Sempre.


Sempre.
"Sempre" è una parola grossa ma con lui mi pareva meno importante e, addirittura, nemmeno troppo impegnativa.
Con lui "sempre" non era solo un mastodontico vocabolo, ma qualcosa di più quotidiano.
Con lui "sempre" era roba di tutti i giorni e non occasionale.
Il modo in cui mi guardava negli occhi era "sempre".
Il modo in cui mi accarezzava era "sempre".
Il modo in cui posavo la sua mano sulla mia guancia per tenerlo su di me era "sempre".
Il modo in cui mi baciava era "sempre".
Il modo in cui si prendeva cura di me era "sempre".
Il modo in cui mi faceva sdraiare sulle sue ginocchia quando ero stanca era "sempre".
Il modo in cui mi abbracciava era "sempre".
Il modo in cui facevamo l'amore era "sempre".
Con lui mi sembrava sempre di raggiungere l'infinito e farci un tuffo dentro e immergermici fino alla testa.
Con lui tutto era "sempre".
Una certezza.
Una carezza protettiva.
Un infinito senso di pace.
Casa.
Lui era il mio "sempre".
Lui era il mio uomo.
Mi strinse forte tra le braccia e me lo disse in un orecchio.
«Sempre, piccola mia».
Non potei fare a meno che sorridere.
Sempre.
Era inevitabile.
Sorridere, intendo.
Con lui non si poteva fare altro che sorridere.
Presi la sua mano e la posai sulla mia guancia, vicino alle mie labbra, per trattenere un po' di quel sapore nella pelle e un po' di quel profumo nelle ossa.
per poterlo ricordare sempre.
Chiuso gli occhi mentre lui posò le sue labbra tra i miei capelli.
Sempre.


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